Cosa si può e cosa non si può ottenere dai big data.
Big data. E' la buzzword più citata, negli ultimi mesi, quando si parla di marketing campaign. Qualcuno ne fà una questione volumetrica ("si parla di Big Data quando si superano i 5 Terabyte").
Ma non ci si può ridurre solo a questo. Big data, vuol dire avere a disposizione informazioni rilevanti sia in quantità che in varietà, ed essere in grado di utilizzarle nella esecuzione delle proprie campagne. |
Cosa c'è di nuovo ? Ad una prima analisi verrebbe da dire: niente. Non c'è nulla di più tradizionale del chiedersi come poter ricavare, da un set di informazioni quanto più possibile ricco, gli insight necessari per una comunicazione più mirata e pertinente. Si chiama Database marketing. Se ne parla dal 1980.
Ma ovviamente da allora qualcosa è cambiato. Anzitutto sono cambiati i dati. Rispetto allo scenario dei decenni scorsi il moltiplicarsi di canali di contatto mette a disposizione una varietà ed una quantità di dati sempre maggiore: non più dati provenienti solo da sistemi legacy, ma dati provenienti da Internet, dai Social Network, dai canali eMail e dai dispositivi Mobile, attraverso app geolocalizzate e quant'altro. E molto spesso si data di dati elementari che sono disponibili in real time.
Questi dati sicuramente vanno ad arricchire il grado di comprensione della realtà, e sicuramente contribuiscono a dettagliare e ad espandere l'approccio analitico come mai prima d'ora. E molti marketer, supportati da molti solution provider, li usano per essere più efficaci e pertinenti mantenendo una preminente focalizzazione analitica. Le soluzioni di campaign management utilizzate in questa ottica sono spesso quelle dei "big vendor" già in voga negli anni 90 e che, per quanto riviste e corrette, mantengono il focus, appunto, sulla componente Analitica.
Questo approccio tuttavia, è adeguato quando è la company che innesca una comunicazione verso i consumatori: in questo caso essendo nostro il primo step, è sicuramente utile iniziare con il piede giusto, sapendo cosa proporre ed a chi. E magari lavorare su segmenti diversi con offerte diverse. E le campagne innescate con modalità push, non a caso, sono quelle classiche, quelle nate ancor prima del database marketing.
Adesso però il mondo è cambiato: adesso non sono solo le aziende a sollecitare i consumatori, ma sono sempre più i consumatori a sollecitare le aziende. Cosa avviene allora quando è il consumatore che ci ingaggia ? Cosa avviene quando qualcuno visita il nostro sito e sfoglia il nostro catalogo ? O legge un QR code all'interno del nostro negozio ? In questi casi è ancora la componente analitica il main driver per la conversione ?
La vera opportunità offerta dai Big Data non stà solo nel potenziamento della parte analitica che, sia chiaro, è sicuramente utile. La vera opportunità è quella di poter sintetizzare ed elaborare questa enorme mole di informazioni nel momento in cui queste vengono fornite, rendendole utili ("actionable") fin dal momento della loro rilevazione: non solo aggregazioni, non solo analisi del comportamento medio, non solo segmentazione, ma anche riconoscere che quell'utente è in negozio, o che stà cercando in questo preciso momento quel prodotto e cogliere l'occasione per indirizzarlo o contattarlo secondo modalità che possono essere determinate anche in base al suo comportamento pregresso, o sulla base di template comportamentali determinati statisticamente.
Big data vuol dire anche essere in grado di ricollegare un utente, una app, un visitatore al suo profilo, alle sue informazioni comportamentali, al suo segmento di riferimento ed essere in grado di farlo in un millesimo di secondo. E questo a prescindere da quanti siano gli utenti, da quanti siano i canali, e da quanti siano i sistemi impiegati. Vuol dire essere in grado di gestire questi dati con una modalità che li renda utili in ottica event-driven e real time: questo è il moltiplicatore della conversione applicata ai big data.
A tal proposito è importante rimarcare che il ruolo dei "big data" può anche, in una certa misura, risultare controverso: il peso dato alle informazioni ricavate su base del comportamento "storico", rischia infatti di attenuare, se non di vanificare, il peso dovuto alle informazioni più recenti. Se infatti un consumatore, che compra sempre una certa tipologia di prodotti, si dimostrasse interessato ad un'altra tipologia di prodotti, affini ma non uguali, potremmo continuare a proporre la vecchia tipologia di prodotti ? O dovremo cogliere questo singolo evento, pur in contraddizione con una storia passata e quindi non ancora statisticamente di rilievo, come l'informazione principale per continuare a far evolvere la relazione con il cliente ?
Se in alcuni casi le evoluzioni possono essere predette, e recepite entro modelli matematici proprio perchè hanno rilevanza statistica (es. l'evoluzione degli acquisti per un figlio che cresce) in altri casi queste evoluzioni sono frutto di eventi casuali, e quindi non possono ricondurre a schemi noti: in questi casi vale solo l'indizio ultimo e l'utilizzo della conoscenza storica può essere utilizzato solo in maniera limitata.
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